Centotrentasettesima puntata 08/02/2015

La prima volta di Vico d'Elsa, dove l'inverno è un vero inverno e la sosta un vero rito.

 

In questo secol d'infide stagioni

i ciclisti son stucchi e controversi

se l'inverno dà freddi e glaciazioni.

Oggi Empoli si sveglia con quei versi

che già scrisse per Modena Tassoni,

con l'Appennin dai monti algenti e tersi

che su la fronte sua cinta di gielo

par che s'incurvi e che riposi il cielo.

 

Uno su tutti senza legger l'ode

quando il fiato nell'aere si condensa

prende la bici e internamente gode.

Al varco non aspetta folla immensa

perché il freddo davvero punge e rode

e pria di pedalar uno ci pensa.

È Caparrin che va dimolto fiero

di questi due o tre gradi sotto zero.

 

"V'ho preparato" dice "un bel percorso

che fisica fatica non vi costa

ma solo tempra di notevol orso.

Ci vuol, è vero, gente soda e tosta

ma chi resiste a questo duro morso

avrà l'onor d'una speciale sosta,

sconosciuta a quest'opera ed eccelsa

nel borgo medieval di Vico d'Elsa."

 

Alotto, Bagnol Elle e Ciampalini

sono i primi d'arrivo e d'alfabeto

con Chiarugi, Cordero e Bartolini,

v'è mescolanza d'alto e basso ceto,

Salani, Corsinovi e Tempestini,

ma l'elenco sarà sempre incompleto.

Rinaldi vi aggiungiamo e pur due Nucci,

con Boldrin, Pisaturo, Zio e Mannucci.

 

Pur Ulivieri c'è fra lor, perdinci,

con Innocenti e senza il casco Giunti

e l'asociale mai citato Ninci.

"O musa, se finiti sono i sunti,

convien che a pedalare si cominci."

Esorta il duca mentre prende appunti.

Ma l'elenco dei probi non si posa

prima d'enumerar le quote rosa.

 

E così con Bertel, Galli e Maltana

inizia la glaciale pedalata

che dopo un miglio pare sempre vana:

Ciampalini ha la ruota già forata

e l'attesa dovuta è poco sana

coi fiati che riscaldan la brinata.

Ma Ciampalin ha mani rudi ed arte

e dopo qualche sbuffo si riparte.

 

La chiorba di Boldrin nel gruppo affiora

quando inizia l'imbelle Chiesanuova

che intorpiditi spiriti accalora.

Sale col passo di chi cova l'uova

ma sorpassarlo è una goduria ancora

così, chi può, non tituba e ci prova.

Ci provan tutti a scaldar corpi ed animi

tranne che quattro o cinque pusillanimi.

 

Il presidente indietro con Rinaldi

e un renitente gruppettin d'alfieri

non ha bisogno infatti che si scaldi.

E i distacchi che sono già severi

diventano abissali e maramaldi

quando la ruota fora anche Ulivieri

che ringrazia con pegno il pio Carlone

lesto a sanar l'improvvido fascione.

 

Davanti le faccende non son chiare,

e i primi, perso il solo Bagnol Elle,

rallentano fingendo d'aspettare,

ma quando si profila il Tavarnelle

suonano il ritmo di chi fa le gare

e con Boldrin la sfida tosto impelle.

Il transgenico sembra saggio e dotto

mentre pedala in un plotone d'otto:

 

due Nucci, Tempestini, Corsinovi,

Chiarugi, Zio, poi Pisatur che attacca,

stanno aggiogati come ligi bovi.

"Ma Boldrin, che facciamo, lo si stacca?"

Domanda Tempestin che sta sui rovi

mal sopportando la globale fiacca.

Nessun risponde e anche Boldrin è schivo,

e in più c'è l'incertezza dell'arrivo.

 

La salita in effetti non supplisce

all'indolenza di cui si circonda,

e non si sa nemmen dove finisce.

Tempestin qualche colpo basso affonda

ma Boldrini sta zitto e non patisce

aspettando provvidenzial rotonda.

E qui girando intorno in pochi sguardi

decretano il più insulso dei traguardi.

 

Più tardi a Vico d'Elsa, parrà strano,

non c'è abitante sobrio che stia fuori.

Il sacro qui si mescola al profano:

gli avvinazzati indigeni avventori

son chiusi dentro il bar democristiano

ove i ciclisti portan fame e onori.

E accanto c'è la messa a Sant'Andrea

che ha il nome di colui che tutto crea,

 

ovvero Caparrin che calmo invita

a non accelerar il rito noto.

"Tanto ho cassato l'ultima salita."

Annuncia prima di riprender moto.

"Aspettiam che la messa sia finita

e facciamoci far pure due foto."

Peccato che l'omin fotografante

non sappia proprio premere il pulsante.

 

Passate son le pedalate diacce

e passato il timor d'ultima rampa,

calor e riso tornan sulle facce.

Or di calore Caparrin avvampa

e disgelate sono le borracce

ma al fato delle ruote non si scampa

e Pisaturo chiude l'avventura,

così come iniziò, con foratura.