Undicesima puntata 29/08-05/09/2004
Oi
Nostoi. I ritorni dei Ciclisti Erranti alle terraci battaglie.
Agosto se n’andava e l’aere diaccio
toglieva i villeggianti dai lor lidi
per riportarli trepidi in Via Baccio,
dove rumor di ruote e fischi e gridi
risuonavan di nuovo senza impaccio
dopo un mese di sonni in quieti nidi:
obesi o fusiformi come muggini,
in bici oliate o con antiche ruggini.
“Aere diaccio?” Pensava Caparrini,
reo di quarantaquattro bomboloni.
“L’arsura mia di già non ha confini.”
Bronzeo guardava i suoi bei centurioni
che debordavan fuori dai sellini
come se indosso avesser pannoloni.
Bagnoli Andrea ciclista interinale
sotto la maglia cela un gran guanciale.
Il fratellin Filippo, ormai converso,
pare d’aspetto più competitivo
anche se veste illecito e diverso.
Boldrini pavoneggiasi da divo;
in una stagna d’olio pria s’è immerso
ed or riluce ed ha un odor nocivo.
L’Empolitour riparte alla riscossa,
ma c’è chi marca fiacca, febbre o tossa.
Bertelli gracchia, Nucci non promette
niente di buono e Tempestin d’altronde
sembra cresciuto in lonze e pure in tette.
Chiarugi sotto il casco si nasconde
e Giunti mostra pose assai sospette.
Parecchi insomma han teste ancor nell’onde.
Pedala invece con prestante brio
il nobile baffuto Conte Zio.
“Almen” pensava il duca “s’andrà piano.
Il gruppo dopo un mese si ritrova
compatto per Badia di Passignano.”
Bastò un ettometro di Chiesanuova
e quel pensier fu promulgato invano,
arse nel fuoco dell’agon che cova.
Tempestin lancia il grido di battaglia
e il gruppo per i clivi si sparpaglia.
Sembra una gara vera con la fuga:
Boldrini, Tempestini, Nucci, Giunti
Chiarugi e Bagnolin la sanguisuga
staccano gli altri senza i cuor compunti
anzi, ciascun di lena si prosciuga
piuttosto che aspettare i tre disgiunti.
Così lo Zio, che irride coi mustacchi,
accusa il più insolente dei distacchi.
Ma il Conte Zio, ch’è nobile di schiatta,
la bile per quest’onta non consuma,
mentre Bertelli, poco soddisfatta
di tanta fuga che ploton frantuma,
quando a Badia tutto si ricompatta,
fa sudor che per ira bolle e schiuma.
Suoni funesti allor gracchia la fata
e fugge in strada incognita e sterrata.
Chiarugi e Nucci vanno in sua rincorsa
per riportarla a docile consiglio
su quell’erta sassosa e sinistrorsa.
Ma lei non sente prieghi né periglio
e fende i ciottoli con gran risorsa
d’insubordinazione e di cipiglio.
Dell’ira sua si stinge poi lo smalto
quando la strada sfuma nell’asfalto.
Ma ormai per riagguantare gli altri è tardi,
e questa insurrezion per strada bianca
si vaporizza in silenziosi sguardi.
Ora la fata è proprio roca e stanca
e a casa vuol tornar senza riguardi,
mentre Chiarugi evade e Nucci arranca.
Finisce in gran diaspora il ritorno
ma fra una settimana è un altro giorno.
Infatti è un altro giorno terso e caldo,
e Caparrin fremente sulla soglia
s’aspetta di partenti un triste saldo.
Nucci e Bertelli languon nella doglia
dopo il percorso ardito e maramaldo,
ma pure agli altri latita la voglia.
“Meno male Chiarugi tu ci sei”
disse “perché saremo cinque o sei.
A Montaion convien che ci si rechi
anche con ranghi sterili e ristretti”
Ma di stupore risuonaron gli echi,
quando l’imprevedibile Boretti
comparve dopo mesi fra gli aztechi,
e nemmen col peggiore dei suoi aspetti.
Aveva un sol problema da risolvere:
come sgrassar la bici dalla polvere.
Comparvero i Bagnoli malvestiti,
comparve il Conte Zio e Boldrini l’Unto
e il dottor Borchi con due minoriti.
“Siamo ben dieci!” Disse e perse un punto,
perché quand’eravamo già partiti,
s’accorse pure ch’era Giunti giunto.
Or finalmente cominciar si può
di Boldrini l’appassionante show.
Già nella valle placida dell’Orme
il transgenico fe’ capir a tutti
d’esser nella migliore delle forme.
Frullavan lieti i due coscioni brutti:
un’elica dalla potenza enorme
frangeva spaventosamente i flutti.
I conoscenti stavano alla larga
guardandolo a distanza nella targa.
Sol un dei due ciclisti eterodossi,
ignaro dell’aliena sua natura,
volle sfidarlo a scatti per i dossi,
e si pentì però con gran premura
fissando gli occhi suoi chirghisi e rossi,
che nel pensier rinnovan la paura.
Boldrini così giunse invitto e fello
ai piè della salita del Mannello.
Ma qui provò sì come sa di sale
la ruota altrui, e come è duro calle
staccarsi allora che la strada sale.
Chiarugi e Zio, ricurvi sulle spalle,
forti e ponzanti fino a farsi male,
lo lasciarono indietro a far farfalle,
e poi giocarono l’arrivo in vetta
a colpi di cruenta bicicletta.
Quasi da Giunti giunto per il bronzo,
Boldrini, che spaccar voleva il mondo,
rimase inebetito come un gonzo.
“Ahi Mannello crudele ed infecondo!”
Gridava e intanto se n’andava a zonzo
nell’attesa dei lenti, in girotondo.
Boretti, che bramò una teleferica,
arrivo infin con facies cadaverica,
e con Bagnoli l’occasione colse
di tagliar corto con serena pace,
Bagnoli che il guanciale non si tolse.
Da quel momento in poi Boldrin loquace,
in logorrea frenetica si sciolse,
anzi abbaiante come can mordace.
Verbigerando mitigò lo scorno
ma fra una settimana è un altro giorno.