Prima puntata 11/01/2004
Invocazione alle
muse e prima avventura alla conquista delle sacre paste dell’oste Bazzani.
Canto le gesta dei ciclisti erranti
che pedalavano nei dì di festa
a caccia di dolciumi ridondanti.
Pedalavan insieme a cercar gesta
come gregge di pecore belanti
con solenne andatura e poco lesta.
Son d’Empoli e di luglio vanno al Tour,
si chiaman nientemen che Empolitour.
La fama lor è già dimolto opima
in tutte le locande del reame,
nei bar e nei rifugi d’ogni cima,
e quest’anno le nostre umili brame
saranno di diffonderla anche in rima
sì che la fama eguagli la lor fame,
ma per abbandonar l’usata prosa
qui ci vuole una musa fantasiosa.
È facile la vita dell’Ariosto
che canta i cavalier, l’arme e gli amori.
Si metta a verseggiar al nostro posto
di soste-Pagni e fiacchi corridori,
di paste, di pattona e girarrosto,
di Caparrin che ponza e fa sudori.
Son cavalier non d’arme ma d’orpelli
ed han di donne (e manna) la Bertelli.
È facile cantar d’eroi e d’agoni
prendendo dalla storia epico spunto,
ma se l’eroe è ciclista coi coscioni
orrendi ed appuzzanti di vil unto,
pure l’estro di Tasso e di Tassoni
sarebbe in comprensibil disappunto
ed io che son della materia incolto
canterò ciò ch’ancora non s’è svolto;
canterò tutta l’opera in diretta
sperando che la musa n’abbia voglia
e dopo un canto o due non si dimetta.
Perché mi sa che l’arte qui s’imbroglia
e invece d’esaltar la bicicletta
costoro esalteran la pastasfoglia.
Con la lusinga di finir in versi
si spera almen che sappian contenersi;
si spera che invogliati dal poema
questi ciclisti dalle grosse taglie,
dopati dalle paste con la crema,
ingaggino mirabili battaglie
sulle salite, dove ognuno frema
d’involarsi coll’impeto di quaglie:
l’Empolitour sedotta dalle ottave
diventerà una squadra forte e grave.
Guidati dal nocchiero Caparrini,
Bertelli, Tempestin, Chiarugi, Nucci,
Pagni Arconte e Transgenico Boldrini,
Bagnoli Elle, Giunti, Ziodipucci
e Pucci, tutti ugual nei completini
biancoazzurri, così larghi e carucci:
la squadra varierà di fase in fase
ma questa è già la formazione base.
La prima impresa stesa a canovaccio
fu quella al luculliano Bar Bazzani,
nella famosa terra di Boccaccio.
L’odor di bomboloni sovrumani
giungeva fin ad Empoli in Via Baccio,
sembrava di toccarli con le mani,
parevan già fra i denti le frittelle
e tutti scalpitavan sulle selle.
La conquista del Sacro Bombolone,
scaldava dei ciclisti il cor nei petti.
Prima però c’è una sostituzione:
Pucci fa spazio al bradipo Boretti
che, imprevedibil per definizione,
arriva quando meno te l’aspetti.
Il campanile intanto scocca il don
quando Boretti arriva col pompon.
“Ma la Bertelli arriva o non arriva?”
Tutti gridavan in ansioso coro.
La dama è più del solito tardiva
e i cavalier uniti a concistoro
eran pronti a lasciarla alla deriva.
“Questo ritardo è contro ogni decoro,”
diceva Caparrin più che impaziente
“ma se si lascia sola, chi la sente?”
Sopra a rigor vinse diplomazia
che fe’ la dama attesa in pompa magna
per colpa, disse, d’una vecchia zia.
Ma quando il gruppo uscì per la campagna,
pria d’imboccare l’agognata via
ella indugiò per salutar la cagna,
e mentre abbaia il cane e canta il gallo
sparisce anche Boldrin tinto di giallo.
Baldo e leggiadro come Polifemo,
ecco Boldrin coll’asociale cappa
e con due labbra ch’a pensarle tremo.
Son dunque tutti uniti per la tappa,
c’è pure il giallorosso Borchi Remo,
che parte insieme e sul più bello scappa.
Boldrin ha labbra turgide e biancastre,
e il gelo sulle pozze fa le lastre.
In quella parte del giovanetto anno…
Comincerebbe Dante, e per far breve
gli rubo questo verso senza affanno,
per dir che c’era brina come neve
e il moccio al naso parve il minor danno,
contro il dolor di piede freddo e greve.
“È caldo e mi son messo due calzini.”
Disse per consolarci Caparrini.
Chiarugi, privo di coibente grasso,
com’usano Bagnol, Borettti e Pagni,
insorse mentre il gruppo andava a spasso,
dicendo: “Si rassega, o bei compagni,
a pedalar con questo blando passo.
Statemi dietro e che nessun si lagni.
Il freddo mi molesta, son Chiarugi
e per far rima romperò gli indugi.
Si va formando uno sbuffante treno
al quale sol di Sughera la rampa
pone repente inevitabil freno.
“Il mio desio di bombolon avvampa.”
Esclama Nucci e in un battibaleno
un rude scatto sui pedali stampa.
Boldrini ci rimane un po’ di vetro
e non riesce proprio a stargli dietro.
Ondeggia Nucci ormai senza contegno,
tanto l’idea di paste gli dà brio.
S’inarca e si contorce con impegno
per appressarsi al fin del suo desio
e in questo perde della strada il segno
trascinando in error Boldrini e Zio.
Chiarugi, che li osserva filar dritto,
per giusta via va in testa zitto zitto.
Come se non bastasse, a rallentare
l’approdo dal Bazzani ci s’aggiunge
pur Tempestin che fora il tubolare.
E mentre Tempestin le mani s’unge
per cambiare la ruota, Nucci pare
un ansio calabron che ronza e punge.
“Dagli una mano, orsù, Bagnoli Elle,
ché sennò si raffreddan le frittelle!
Vedrete il Bar Bazzan quant’è opulento,
quanto ridondan le sue sacre paste.
Caffè egli serve in vetro, in oro e argento.
Finor le soste sono state caste:
questa ne vale in lusso almeno cento
di quelle nostre più sfarzose e faste.”
Quando transita Nucci per Gambassi
ha fame che divorerebbe sassi.
La sua saliva si profonde in laghi
che scorrono copiosi su Certaldo.
Bagnol, Boldrin, Boretti son presaghi
e taglian corto al casalingo caldo.
Gli altri d’ogni altra attesa son già paghi
e guardan Nucci salivante e baldo,
poi guardan Bar Bazzan con facce serie
e leggon cubital CHIUSO PER FERIE.
Ahi dura strada perché non t’apristi?
Non osan proferir nessun avverbio
gli infamati e affamati miei ciclisti.
Fu più lo scorno o l’interior diverbio
che li rese quel giorno magri e tristi?
Risponderà Boccaccio col proverbio:
chi pedala nel clima dell’Alaska
sempre finisce che lo piglia in tasca.